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Restauro dell’ex convento di San Domenico

Venosa – Museo archeologico

L’ex convento di San Domenico è situato all’incrocio tra Piazza Orazio e via Vittorio Emanuele III. Il complesso fu fondato nel 1272 come palazzo gentilizio, poi convertito in ospizio militare e successivamente in convento, e infine soppresso nel 1809 e utilizzato per le funzioni più disparate fino alla fine del XX secolo – hanno lasciato evidenti segni sulla fabbrica, che appare oggi come un palinsesto di non agevole lettura per i non addetti ai lavori.
A ciò si sono aggiunti i consistenti interventi di restauro compiuti a più riprese nel corso degli ultimi decenni che, se da un lato hanno affrontato con notevole disinvoltura alcune difficili scelte di demolizione, dall’altro hanno determinato ulteriori alterazioni e manomissioni non sempre condivisibili. In coerenza con la cultura del restauro del tempo, tali interventi hanno infatti prodotto trasformazioni irreversibili di cui è necessario prenderne atto. Esse comprendono la completa sostituzione delle strutture lignee di copertura con solai latero-cementizi, attuata negli anni Settanta, per proseguire con le consistenti demolizioni operate nel chiostro, estese a tutte le strutture aggiunte a partire dalla fine dell’Ottocento per ospitare le funzioni amministrative e scolastiche insediate nel complesso, attuate senza alcuna preventiva valutazione dell’opportunità di conservarne qualche testimonianza.

L’obiettivo generale del progetto, si incentra sulla necessità non solo di restaurare l’insigne monumento, conservandone tutte le testimonianze materiche costruttive del palinsesto, ma anche di valorizzazione del contesto storico ed urbano in cui l’edifico è inserito; processi costruttivi di collaborazione tra le istituzioni, terzo settore e società civile contrastano in maniera strutturata l’isolamento del monumento e dell’intera piazza che oggi è sotto gli occhi di tutti. Il progetto, vista la qualità storico culturale ed architettonica dello stesso, è finalizzato a rendere lo spazio un polo culturale e sociale per la comunità di Venosa. L’intervento assume una marcata valenza urbanistica, dal momento che va a prendersi in carico una duplice finalità: rispetta il bisogno della popolazione di avere spazi conviviali e culturali e contemporaneamente risponde ad un’esigenza concreta di poter fruire di uffici ed altri spazi comunali all’interno del centro della città. Il progetto asseconda la conformazione del manufatto, adattandosi alla sua struttura e valorizzandolo, sono stati previsti interventi tesi all’adeguamento funzionale, come la demolizione di un solaio e di una mezza volta per la costruzione di collegamenti verticali.
Ma la vera svolta avviene con la costruzione di una passerella di collegamento che lega 2 bracci del primo piano del manufatto che sono stati sempre divisi dal campanile, consentendo così una percorribilità completa del manufatto e una visione globale dello stesso. La passerella, quindi, oltrepassa il campanile, mostrandolo dal suo interno e rendendolo parte integrante del percorso museale.  Per i lavori di restauro si riportano sinteticamente ma non esaustivamente le seguenti principali attività:

• Pulitura delle superfici da vegetazione infestante e patina biologica;
• Restauro delle superfici architettoniche;
• Consolidamento degli orizzontamenti (volte e solai);
• Consolidamento murature;
• Ripristino della quota di calpestio del porticato;
• Apertura dei vani in muratura portante;
• Ripristino dei serramenti con nuovi infissi in legno e vetrocamera a luce unica;
• Installazione di nuovi servizi igienici e diversa distribuzione interna;
• Adeguamento impiantistico;
• Opere di ripristino di orizzontamenti, coperture e collegamenti verticali
• Opere impiantistiche idrico sanitarie
• Opere impiantistiche antincendio
• Opere impiantistiche elettriche
• Opere impiantistiche meccaniche


Il progetto può essere definito secondo le seguenti tematiche.

1.Pavimentazioni

La maggior parte delle pavimentazioni si presentano demolite, non solo per la parte di rivestimento, ma anche per il massetto. Per cui, per migliorare la fruibilità degli spazi, il progetto consiste nel raccordare tutte le quote attraverso la definizione di un’unica quota di pavimentazione. Nell’operazione di definizione di una nuova quota, si progetta una nuova pavimentazione che, attraverso la scelta di materiale, ha l’intenzione di valorizzare la muratura preesistente. Ad esempio, la pavimentazione che corre lungo i porticati, è progettata con lo stesso materiale- pietra d’Istria- ma posato in modo diverso: talvolta è caratterizzata da tagli quadrati, altre volte da tagli rettangolari che perimetrano la muratura esiste e le colonne.

Le diverse quote sono raccordate attraverso piccole rampe previste dello stesso materiale della pavimentazione. Discorso a parte meritano le pavimentazioni in vetro, previste laddove si vuole evidenziare una testimonianza archeologica, rendendo chiaro l’evoluzione del manufatto nel tempo.
Esempio di questo intervento saranno gli ambienti prospicienti piazza Orazio, attualmente destinati al museo, il quale raccordo tra la pavimentazione risalente al periodo medievale del manufatto sarà caratterizzata dalla pavimentazione in vetro mettendo in evidenza una quota di età ancora precedente.

 

2. Copertura e sistema di irrigimentazione delle acque

La copertura è attualmente priva di tegole e presenta il manto impermeabile in alcuni punti assenti ed in altri degradato. Per cui si prevede l’isolamento della copertura attraverso l’apposizione di uno strato di isolamento termico e uno strato impermeabilizzante, insieme al montaggio di tegole a coppi e piani, seguendo le indicazioni delle NTA del Piano del Colore del comune di Venosa. La regimentazione delle acque attualmente è affidata ad una serie di pluviali in materiale plastico presenti in modo provvisorio sulle pareti dei cortili, mentre sembra più omogeneo il sistema di smaltimento presenti sulle facciate esterne. Per cui si prevede un ripristino di quest’ultimo attraverso la sostituzione- dove necessario- delle pluviali con pluviali pvc di diametro di 11 cm; mentre il sistema di smaltimento deve essere riprogettato per i cortili interni. Per cui, in quest’ultimo caso, si prevede la sostituzione delle pluviali preesistenti con pluviali in pvc di diametro 11 cm posizionate in corrispondenza degli angoli le quali confluiscono direttamente in pozzetti presenti al di sotto della pavimentazione.

3.Contro-pareti e controsoffitti
Le contropareti presenti al piano primo ed in alcuni casi al piano terra hanno il principale obiettivo di fornire un piano d’appoggio per il materiale da esporre, rispettando la parete storica. Infatti tale soluzione è stata scelta proprio per rispettare il principio della reversibilità in quanto le contropareti si appoggiano alla muratura attraverso pochi e selezionati punti. Quersto è reso possibile tramite una struttura in alluminio che poggia sulla parete in pochi e selezionati punti, sulla muratura; al di sopra vi è il pannello di cartongesso che viene intonacato e tinteggiato.
Per nascondere alcuni solai misti in putrelle e tavelloni presenti sia al piano terra che al piano primo, si decide di utilizzare dei controsoffitti i quali aiutano non solo a far passare gli impianti ma anche per il progetto dell’illuminazione.

4.Restauro delle superfici architettoniche

Il progetto di restauro delle superfici prevede una omogeneizzazione delle facciate, senza occultare la stratificazione del palinsesto storico.
A tal fine saranno necessarie operazioni distinte a seconda dello strato di intonaco sul quale si interviene.
In particolare:

• Sulle porzioni di muratura a faccia-vista si applicherà una scialbatura ottenuta entro il mezzo millimetro stesa a pennello, con pigmento e aggregato molto fine e legante naturale in calce. La pigmentazione verrà definita dalla direzione lavori avendo come riferimento quella originale.
• Sulle porzioni di intonaco e arriccio disgregate o erose si prevede l’applicazione di una rasatura di calce al fine di rinforzare la superficie e colmare discontinuità.

La scelta di restauro è stata quella di lasciare le superfici nello stato in cui si presentano – ovvero quasi integralmente prive di intonaci – aggiungendo strutture a secco, opportunamente distanziate dalle pareti, per poter ospitare le funzioni espositive e al contempo accogliere tutti gli elementi impiantistici evitando di aprire nuove tracce nelle pareti. Simili approcci conservativi sono stati adottati anche per gli aspetti strutturali.
Il susseguirsi poi di cicli di uso e abbandono, durante la storia plurisecolare del manufatto hanno determinato un palinsesto molto stratificato che ha determinato la convivenza di diversi materiali e tecniche murarie, non sempre ben integrate e ammorsate tra di loro. Quel che oggi rimane delle membrature resistenti, pur costituendone ampia parte, mostra in tutta evidenza i segni e le tracce dei
traumi subiti dalla fabbrica e delle nuove configurazioni di equilibrio, a volte precariamente, instaurate.
La metodologia di analisi del degrado e dei dissesti adottata ha previsto a monte dell’analisi strumentale, un attento rilievo con drone e laser scanner per l’individuazione dei più ricorrenti fenomeni di dissesto e degrado anche nelle parti alte del manufatto.
Nel complesso il monumento si presenta in cattivo stato di conservazione, dovuto a traumi quali lo sfondellamento dei solai ed agli interventi strutturali non idonei.

L’intervento previsto è improntato al principio del minimo intervento necessario, reversibile, poco invasivo e utilizza, aggiornandoli, criteri tradizionali compatibili con le strutture originali.
Gli interventi illustrati nel progetto prevedono di sanare le principali patologie di degrado individuate sul manufatto quali presenza di vegetazione infestante e patina biologica, depositi e croste nere sulle superfici architettoniche, scarsa leggibilità e portanza delle strutture murarie e degli elementi lapidei. Limitatamente agli interventi di diserbo e pulitura, la volontà è stata quella di individuare una prima fase costituita dall’eliminazione delle presenze organiche con l’applicazione, per irrorazione o spruzzo, di biocida (allo 0,1–1%) e tensioattivo sulle superfici in pietra e da una seconda fase di asportazione manuale della vegetazione erbacea e arbustiva, verde e secca, da effettuare, dove possibile, meccanicamente con estirpazione e il taglio a raso fatto con mezzi a bassa emissione di vibrazioni.
La rimozione delle muffe, muschi e licheni sarà ottenuta mediante l’applicazione di una soluzione acquosa di benzaclonio al 1- 2%.
Per gli interventi di pulitura dei depositi superficiali si prevede l’eliminazione delle polveri e del particolato atmosferico, con spazzole morbide o flussi d’aria di debole potenza evitando di apportare ulteriori danni alla superficie del manufatto, mentre per i depositi incoerenti e le croste nere si ipotizza una pulitura con impacchi biologici di sale tetrasodico con polpa di cellulosa, carbossimetilcellulosa, sepiolite, acqua deionizzata, in quantità opportune a seconda del materiale scelto, in modo da ottenere un fango fluido e pastoso facilmente spalmabile sulle superfici in spessori variabili da 1 a 3 centimetri, i cui tempi di applicazione variano in funzione del tipo e della consistenza dei depositi. L’asportazione dell’impacco e di eventuali residui sarà effettuata mediante utilizzo di spazzole morbide o spugne. Per l’integrazione delle strutture murarie che, a causa dei fenomeni di crollo, presentano mancanze tali da pregiudicane la leggibilità, si prevede la rimozione degli elementi ammalorati presenti a margine delle strutture da integrare, per preparare salde e sicure sedi di appoggio e collegamento per i nuovi elementi, è prevista inoltre la pulitura delle sedi e dei piani di appoggio e di connessione dei nuovi elementi, per rimuovere i detriti che potrebbero pregiudicare la posa in opera e il corretto ancoraggio alle strutture esistenti dei materiali leganti utilizzati.
L’ultima fase dell’intervento è costituita dalla posa in opera dei nuovi elementi, utilizzando come leganti malte di composizione tradizionale con aggiunta di additivi che ne migliorino l’aderenza e ne diminuiscano il ritiro nonché eventuali perni o dispositivi di tipo passivo per migliorare la connessione tra i nuovi pezzi e quelli esistenti, con finitura e stilatura dei giunti mediante materiale legante posto tra gli elementi del nuovo tratto di muratura e quelli preesistenti.
Per le porzioni murarie che presentano fenomeni di degrado e dissesto con la presenza di elementi ammalorati o insufficienti, il progetto prevede l’integrazione degli stessi con la tecnica dello scuci-cuci. Tale intervento prevede una prima fase di rilievo e messa in sicurezza dell’area di intervento con la realizzazione di puntellature per prevenire crolli o deformazioni rischiose per la conservazione e per l’incolumità dell’intervento, segue la rimozione controllata degli elementi ammalorati e la pulitura delle sedi di inserimento dei nuovi elementi, per rimuovere i detriti grossolani e pulverulenti che potrebbero pregiudicare la posa in opera e il corretto aggrappo ai supporti degli eventuali materiali utilizzati. L’intervento si conclude con la posa in opera, in sottosquadro, di nuovi elementi ripristinando il paramento esterno con malte di composizione tradizionale, e stilatura delle connessure con malta della stessa composizione di quelle esistenti, a base di calce con inerti di tipo pozzolanico e vulcanico.
Per i paramenti murari che presentano polverizzazione o assenza di malte leganti, il progetto prevede la stilatura dei giunti con pulitura preventiva dei giunti da risarcire con spazzole e getto d’acqua a bassa pressione per fornire alla malta superstite ed alle superfici la necessaria saturazione e l’inumidimento (essenziale per evitare che assorbano l’acqua della nuova malta pregiudicandone la presa) e l’applicazione della nuova malta utilizzando una piccola cazzuola in grado di raggiungere tutti i vuoti esistenti nel giunto. La stilatura, ossia la compressione della malta nel giunto, ha il compito di farla penetrare in modo uniforme in tutta la profondità dell’interstizio.