Chiesa di Santa Maria a Piazza
Napoli
La Chiesa di Santa Maria a Piazza venne fondata nel IV secolo d.C. per volontà di Costantino il Grande e di Papa Silvestro I. Si narra, nel “Notizie del Bello dell’antico e del Curioso delle Città di Napoli” di Carlo Celano, che proprio questo papa avesse celebrato Messa nella Chiesa di Santa Maria a Piazza, come in tante chiese che furono erette in quel periodo dai Napoletani, il Papa la aveva arricchita d’indulgenze, privilegi e ne aveva accresciuto l’importanza grazie alle varie sacre cerimonie che aveva celebrato. Anche Papa Clemente IV celebrò Messa nella Chiesa e lo fece sullo stesso altare dove compì le sacre cerimonie il suo predecessore. La Chiesa di Santa Maria a Piazza viene descritta dal Celano come un’architettura “affatto scevra di architettonici pregi” in cui alla sinistra del nartece di ingresso, posta vicino l’entrata, vi era una pietra che celata da un confessionale chiude il sepolcro di Buono Console e Duca di Napoli, sul quale sono incisi i sedici distici che raccontano come egli venne seppellito proprio in questa Chiesa nel 834 d.C., dopo aver governato la città per un anno e mezzo. L’epitaffio sul sepolcro è scritto in latino e analizzando le prime lettere degli esametri composti si leggono acrosticamente le parole “Bonus Consul et Dux”.
La perdita dell’indipendenza e l’annessione del Mezzogiorno allo Stato unitario furono per Napoli l’inizio di un periodo di profonda crisi: l’epidemia di colera del 1884, poi, segnò il culmine del progressivo peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie di gran parte della popolazione. All’aumento demografico, dovuto in massima parte all’esodo dalle campagne, non corrispose un adeguato ampliamento urbano, sebbene nel 1871 fosse stato indetto un concorso per un Piano regolatore. A fronte di tale situazione furono varate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento una serie di interventi e alcune leggi speciali da parte del governo nazionale. La prima di tali leggi fu quella del 5 gennaio 1885, n. 2892, con la quale fu reso operativo, dichiarandolo di pubblica utilità, il progetto urbanistico di massima approntato dal Giambarba, successivamente definito “Piano pel Risanamento”. Tale piano pur essendo stato varato in una situazione di grave emergenza, tentò di affrontare il tema del rapporto tra il risanamento e l’ampliamento della città: ma la sua cattiva gestione attuativa, unita agli intenti speculativi di molte delle banche interessate, ne bloccarono il prosieguo. Il programma degli interventi, che pure aveva registrato un largo consenso da parte della società civile, fu drasticamente ridotto e limitato ad una serie di operazioni concentrate in particolari aree, senza una visione complessiva ed organica della città: fu realizzato il Rettifilo e furono creati due rioni di ampliamento, quello del Vasto e quello del Vomero.
La realizzazione dell’attuale corso Umberto I, ideata secondo il modello del cosiddetto taglio risanatore, comportò la demolizione di un denso tessuto storico, nonché l’inglobamento o l’isolamento delle emergenze architettoniche più prestigiose, come, ad esempio, la basilica di San Pietro ad Aram. La convinzione diffusa della necessità di un intervento incisivo, a fronte della miseria e del degrado di quei “fondaci ove la povera gente si ammucchiava in luridi covili”, pose oggettivamente in secondo piano tutte le problematiche relative alla conservazione delle preesistenze. La Commissione Municipale, presieduta da Bartolomeo Capasso, e tutti gli storici e gli intellettuali che gravitavano intorno alla rivista Napoli Nobilissima, pur dedicando molteplici articoli e studi alla questione del Risanamento, si limitarono alle segnalazioni di alcuni elementi architettonici o decorativi da conservare magari reinserendoli nelle nuove costruzioni, o alle chiese da salvare, senza curarsi degli esiti più complessivi delle implicazioni sociali e urbane che l’intervento avrebbe comportato. Solo successivamente, agli inizi del Novecento, studiosi e storici si resero conto di quanto l’operazione del Risanamento fosse stata una occasione mancata, perché attuata nella logica dello sfruttamento della rendita fondiaria, in una ottica parziale e limitata che per la verità ha caratterizzato tutte le scelte urbanistiche compiute nel capoluogo campano dall’Ottocento fin agli anni Settanta del secolo scorso. Al di là dell’analisi dei risultati più generali dell’operazione nel suo complesso, qui si intende soffermare l’attenzione sugli interventi compiuti nella zona di Forcella, dove per allargare via Vicaria Vecchia, via delle Zite e la stessa via Forcella, fu demolita parte dell’antica chiesa di Santa Maria a Piazza. Il Ceci, in un articolo apparso su Napoli Nobilissima nel 1892, pose per primo in discussione l’opportunità o meno di demolire tale chiesa, edificata lungo il tratto terminale del decumano inferiore del centro antico, molto vicino all’area in cui esso si biforcava, dando vita ad una sorta di forcella, da cui, appunto, il nome della strada. In età romana e medioevale l’intera zona fu chiamata Regio Furcillensis o Herculanensis, dal nome della Porta Ercolanese, sita all’altezza di piazza Calenda, in cui si ritrovano ancora oggi resti di mura greche. Gli interventi nel centro storico di Napoli furono suddivisi in cinque bienni, secondo questa logica ad ogni biennio corrispondeva l’esecuzione del progetto previso dal Piano di Risanamento relativo a quella specifica area indicata dal Biennio. Quindi furono date delle priorità agli interventi che vanno da quelli più a meno urgenti. Il quartiere di Forcella rientrava nel IV Biennio, l’esecuzione del progetto prevedeva, quindi, la liberazione di Vico Scassacocchi e l’ampliamento di Via Vicaria Vecchia a discapito, rispettivamente del Campanile e di una campata, di Santa Maria a Piazza.
In particolare, l’esito del Risanamento si traduce nel troncamento del prospetto principale della Chiesa, la quale dunque si riduce di una campata e, infine, di una demolizione, forse la più importante e significativa, relativa proprio al Campanile di Santa Maria a Piazza.
conformazione della Chiesa prima dell’intervento del risanamento
conformazione della Chiesa prima dell’intervento del risanamento
Allo scopo di massimizzare la conservazione dell’architettura e delle sue stratificazioni storiche ci si propone di eliminare gli agenti degradanti dalle superfici architettoniche esterne ed effettuare una scialbatura a base di boiacca di calce, senza ripristinare l’intonaco ma lasciando la muratura a facciavista in quanto immagine oramai storicizzata.
Durante la fase conoscitiva è stata effettuata una mappatura accurata delle superfici architettoniche prese in esame, analizzandone le problematiche e i fenomeni di degrado graficizzati attraverso la terminologia del lessico Normal 1/88.
Seguendo le disposizioni del Lessico Normal 1/88 ed attraverso un’approfondita conoscenza dei materiali e delle tecniche, è stato possibile individuare quattro macrocategorie di intervento che mirano al trattamento conservativo delle superfici. Tali categorie sono: pulitura, consolidamento, integrazione e protezione.
Obiettivo della pulitura è la rimozione di quanto è dannoso per il materiale lapideo: sali solubili, incrostazioni scarsamente solubili o insolubili, stratificazioni di materiali, vegetazione infestante. La scala di metodo da impiegare è basata sulla natura delle sostanze da asportare, sul tipo di superficie da pulire, nonché sulla estensione della stessa. I metodi di pulitura impiegati variano a seconda del materiale impiegato.
Obiettivo del consolidamento è restituire proprietà di coesione e di compattezza al materiale attraverso una penetrazione in profondità. La scelta del metodo da impiegare è basata sulla natura del materiale su cui intervenire. I metodi di consolidamento impiegati variano a seconda del materiale impiegato e del tipo di degrado.
Le integrazioni previste sono fatte nel completo rispetto del manufatto e seguono i principi di distinguibilità delle aggiunte e di compatibilità dei materiali.
Il trattamento di protezione ha la finalità di rallentare la velocità dei processi di deterioramento e di ridurre la probabilità che essi si verifichino nuovamente.
L’intervento, prevalentemente conservativo e mirato alla riduzione dei fenomeni di degrado, riguarda interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria tale da riportare in efficienza le parti dell’opera architettonica degradate. Si distinguono nei seguenti interventi:
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- Opere di consolidamento nonché di restauro delle superfici esterne;
- Opere di consolidamento nonché di restauro delle superfici interne;
- Opere di pulitura e consolidamento di elementi decorativi in pietra;
- Opere di recupero portale d’ingresso;
- Montaggio nuovi infissi;
- Grondaie, pluviali.
Opere di consolidamento nonché di restauro delle superfici esterne
Per il restauro delle superfici esterne si prevede:
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- Rimozione di muschi, licheni e strati algali, devitalizzazione e successiva rimozione di muschi e licheni e strati algali da superfici orizzontali e verticali eseguito a mano con l’ausilio di bisturi e spazzole previa imbibizione per mezzo d’impacchi da formulare composto d’alghicida, funghicida, battericida, tensiattivo, adesivizzante.
- Rimozione degli strati superficiali decoesi
- Pulitura e spazzolatura del materiale lapideo
- Trattatamento desalinizzante Trattamento desalinizzante di murature in tufo o mattoni, previa accurata pulizia da residui vari ed incrostazioni e successivo lavaggio con acqua desalinizzata
- Reintegrazione del materiale lapideo mancante o degradato
- Preparazione con fondo Scialbatura con latte a base di grassello di calce stagionato da 24-36 mesi. Applicata a pennello in minimo di due o tre mani, compreso gli oneri di cui alle note particolari
Opere di consolidamento nonché di restauro delle superfici interne
Per il restauro delle superfici intonacate interne si prevede:
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- Spicconatura accurata d’intonaci, asportazione effettuata seguendo i contorni delle parti evidenziate, evitando danni a tutto quanto non è da asportare. La spicconatura sarà eseguita con piccolo scalpello e martello o con martellina, sotto la guida del restauratore, tutte le parti demolite saranno opportunamente documentate con esecuzione di stratigrafie sul posto.
- Consolidamento dello strato decoeso di murature di tufo Consolidamento dello strato decoeso di murature di tufo, con silicato di etile, per il ristabilimento della coesione mediante impregnazione fino a rifiuto per mezzo di pennelli, siringhe o pipette previo pulitura; inclusi gli oneri relativi alla rimozione degli eccessi del prodotto consolidante, sia in ambienti esterni che interni.
- Risanamento di paramenti murari con problemi di umidità, mediante applicazione in due mani date a pennello di tampico di malta speciale antisale a base di calce idraulica
- Regolarizzazione di superfici da intonacare, per conguaglio di irregolarità mediante rinzaffo con malta bastarda a più strati e scaglie di tufo, tagli e sagomature; compresi l’arricciatura per successive lavorazioni.
- Sbruffatura di murature spicconate o nuove, con malta fluida cementizia addizionata con antiritiro per migliorare l’aderenza dell’intonaco da fare e rinforzare in superficie le murature con uno strato protettivo
- Intonaco di fondo eseguito su paramenti murari in pietra di tufo Applicazione meccanica d’intonaco di fondo eseguito su paramenti murari in pietra di tufo. L’intonaco sarà eco compatibile riciclabile come inerte
- Finitura mediante posa a mano di intonaco a basso spessore ecocompatibile Applicazione di finitura mediante posa a mano di intonaco a basso spessore eco compatibile riciclabile come inerte.
- Tinteggiatura con pittura a base di grassello di calce Tinteggiatura di superfici esterne o interne con pittura a base di grassello di calce stagionato da 24-36 mesi.
Opere di pulitura e consolidamento di elementi decorativi in pietra (basamento e colonne)
Per il restauro delle superfici in pietra naturale:
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- Pulitura degli elementi in piperno, in buono stato di conservazione saranno puliti con acqua a bassa pressione, brossature con spazzole di saggina con acqua e detergenti, per l’eliminazione delle croste nere e dei depositi superficiali. Eliminazione vegetazione infestante attraverso rimozione manuale della vegetazione e meccanica al bisturi dei depositi superficiali. Si applicherà un trattamento biocida preventivo per arginare nuovi fenomeni di degrado. Piccole integrazioni di lacune saranno necessarie con malte a base di idraulica naturale e leganti a base di inerti della stessa pietra. Occorre in ogni caso provvedere ad una corretta stilatura dei giunti fra le pietre.
- Consolidamento di superficie lapidea, consistente nella impregnazione del materiale mediante applicazione a pennello di silicato di etile con silossano idrorepellente seguita in più fasi in modo da consentire la massima penetrazione del prodotto.
- Trattamento idrorepellente traspirante su superfici porose in pietra naturale ed artificiale, intonaci, stucchi e cementi tramite applicazione di prodotto impregnante oleo-idrofobico traspirante a base di polimeri fluorurati in dispersione acquosa esente da COV e conforme alla direttiva 2004/42/CE, previa accurata pulitura della superficie da depositi incoerenti e coerenti
Opere di recupero portale d’ingresso
Recupero del portale d’ingresso comprendente le seguenti lavorazioni:
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- Smontaggio della ferramenta e serramenta esistente.
- Carteggiatura critica degli strati di pittura, lavaggio con acqua e solvente.
- Consolidamento e reintegrazione delle lacune, sostituzione di parti lignee non recuperabili con legname stagionato di essenza della stessa natura dell’esistente.
- Rimessa a squadro con staffe e/o sostituzione di eventuali cunei (perni) in legno.
- Sverniciatura con idoneo solvente delle parti metalliche di rivestimento esterno e di ferramenta, serramenta.
- Trattamento con convertitore di ruggine e rimontaggio in opera.
Nuovi davanzali in pietra di piperno dello spessore di cm 5-15, come da modello esistente levigati lavorati nella faccia a vista secondo le indicazioni della D.L., posti in opera con malta di calce pura idraulica naturale e pozzolana, compreso l’incasso nelle murature laterali di almeno cm 5 e la chiusura della traccia con intonaco, compreso il canaletto di scolo acqua ed il foro con il tubicino in piombo.
I criteri di intervento che hanno mosso questa proposta progettuale sono stati: la logica del minimo impatto, per massimizzare la conservazione della materia originale e garantire la leggibilità storica del manufatto; la distinguibilità delle aggiunte, per consentire una facile lettura dell’intervento effettuato; l’uso di materiali e tecniche compatibili con la materia storica.
Tra gli interventi progettuali più rilevanti occupa un ruolo importante la ricostruzione del volume originario crollato a sinistra del campanile, al fine di ristabilire l’unità potenziale del manufatto. Tale integrazione volumetrica è stata realizzata con gli stessi materiali e le stesse tecniche costruttive della preesistenza storica (tufo giallo napoletano con allettamento di malta a base di calce) allo scopo di garantire la compatibilità materica dell’aggiunta e minimizzare il suo impatto visivo. Seguendo il principio di distinguibilità l’aggiunta è stata realizzata in sottosquadro. L’aggiunta del volume consentirà la creazione di nuovi locali al cui interno si possono innestare nuove attività collettive. Altro importante intervento è la riapertura di un varco su Vico Scassacocchi, precedentemente murato. La finalità di tale intervento non risiede soltanto nella volontà di ristabilire il rapporto tra pieni e vuoti in facciata ma è funzionale al progetto in quanto consente un accesso immediato al collegamento verticale di accesso al piano superiore senza interferire con le funzioni ecclesiastiche che hanno sede nell’aula della Chiesa. Altri interventi consistono nella messa in opera di nuovi infissi con le caratteristiche visive di quelli preesistenti ma con prestazioni energetiche più elevate; l’installazione di nuove pluviali e gronde; la messa in opera di nuovi parapetti in copertura.
Il progetto ha come obiettivo primario la conservazione del bene; dunque, il suo adeguamento funzionale è un importante passaggio strategico che garantisce la gestione e la manutenzione dell’edificio restaurato consentendone la valorizzazione ed il ripristino delle relazioni con il contesto. L’individuazione della destinazione da assegnare non è il fine dell’intervento di restauro quanto un mezzo per perseguire la sua conservazione.
Si può ritenere che la Chiesa di Santa Maria a Piazza, a fronte del contesto in cui è inserita, possa acquisire un nuovo ruolo di centralità come attrattore del turismo storico e culturale.
Il progetto di rifunzionalizzazione parte da un’attenta lettura tipologica e quindi non modifica in modo sostanziale la logica complessiva dell’edificio, pur consentendone un uso più articolato degli spazi. La chiesa continua a svolgere la funzione religiosa, mentre i locali ai piani superiore restano a disposizione della collettività per ospitare eventi culturali e attività connesse all’uso religioso (oratorio). Si viene quindi a configurare un sistema dinamico caratterizzato da una mixitè funzionale le cui funzione diversificate renderanno il complesso fruibile quotidianamente dalla collettività.
I criteri di intervento che hanno mosso questa proposta progettuale sono stati: la logica del minimo impatto, per massimizzare la conservazione della materia originale e garantire la leggibilità storica del manufatto; la distinguibilità delle aggiunte, per consentire una facile lettura dell’intervento effettuato; l’uso di materiali e tecniche compatibili con la materia storica.
Tra gli interventi progettuali più rilevanti occupa un ruolo importante la ricostruzione del volume originario crollato a sinistra del campanile, al fine di ristabilire l’unità potenziale del manufatto. Tale integrazione volumetrica è stata realizzata con gli stessi materiali e le stesse tecniche costruttive della preesistenza storica (tufo giallo napoletano con allettamento di malta a base di calce) allo scopo di garantire la compatibilità materica dell’aggiunta e minimizzare il suo impatto visivo. Seguendo il principio di distinguibilità l’aggiunta è stata realizzata in sottosquadro. L’aggiunta del volume consentirà la creazione di nuovi locali al cui interno si possono innestare nuove attività collettive. Altro importante intervento è la riapertura di un varco su Vico Scassacocchi, precedentemente murato. La finalità di tale intervento non risiede soltanto nella volontà di ristabilire il rapporto tra pieni e vuoti in facciata ma è funzionale al progetto in quanto consente un accesso immediato al collegamento verticale di accesso al piano superiore senza interferire con le funzioni ecclesiastiche che hanno sede nell’aula della Chiesa. Altri interventi consistono nella messa in opera di nuovi infissi con le caratteristiche visive di quelli preesistenti ma con prestazioni energetiche più elevate; l’installazione di nuove pluviali e gronde; la messa in opera di nuovi parapetti in copertura.
Il progetto ha come obiettivo primario la conservazione del bene; dunque, il suo adeguamento funzionale è un importante passaggio strategico che garantisce la gestione e la manutenzione dell’edificio restaurato consentendone la valorizzazione ed il ripristino delle relazioni con il contesto. L’individuazione della destinazione da assegnare non è il fine dell’intervento di restauro quanto un mezzo per perseguire la sua conservazione.
Si può ritenere che la Chiesa di Santa Maria a Piazza, a fronte del contesto in cui è inserita, possa acquisire un nuovo ruolo di centralità come attrattore del turismo storico e culturale.
Il progetto di rifunzionalizzazione parte da un’attenta lettura tipologica e quindi non modifica in modo sostanziale la logica complessiva dell’edificio, pur consentendone un uso più articolato degli spazi. La chiesa continua a svolgere la funzione religiosa, mentre i locali ai piani superiore restano a disposizione della collettività per ospitare eventi culturali e attività connesse all’uso religioso (oratorio). Si viene quindi a configurare un sistema dinamico caratterizzato da una mixitè funzionale le cui funzione diversificate renderanno il complesso fruibile quotidianamente dalla collettività.
Al primo terra, spazi ricreativi e formativi per i giovani di quartiere. Di seguito, le principali funzioni al piano terra: 1. Abside; 2. Altare principale; 3. Navata centrale; 4. Nartece; 5. Sacrestia; 6. Collegamento verticale; 7. Altare secondario.
Al piano primo: 6. Collegamento verticale; 8. Disimpegno; 9. Servizi igienici; 10. Sala polifunzionale minore; 11 Sala polifunzionale maggiore; 12 Sala letture; 13; Spazio accessorio; 14 Ambiente ricreativo.